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MIAMI - «Siamo capaci di fare un’auto di lusso in grado di competere con i grandi marchi premium americani, inglesi e tedeschi?» Chi conosce i giapponesi, sa che non rispondono mai di no, ma se chiedono, vogliono sentirsi rispondere di sì. E così fu in una giornata d’agosto del 1983 quando Eiji Toyoda pose ai membri del board una domanda da far imperlare la fronte più del caldo dell’estate di Nagoya. Venne così abbassata la bandierina per il progetto F1 dove F sta per Flagship cioè ammiraglia. Mentre in Giappone 1.400 ingegneri e 2.300 tecnici suddivisi in 24 team si mettono al lavoro, “spie” in terra nemica sbirciano nei parcheggi, nei negozi, nei club e prendono casa nei migliori quartieri d’America per capire i bisogni della clientela di lusso.
Alla fine definiscono il target da conquistare: sono i Bobo, abbreviazione di bourgeois bohemians ovvero tradizionalisti con grandi ambizioni sociali. Qualcuno vuole farne una “toyotona”, altri invece premono per un brand distinto, anche come rete di vendita, e sono loro a vincere. Si chiama Lexus e viene presentato al Salone di Los Angeles del 1988 insieme al logo, una L racchiusa all’interno dell’ellisse di Toyota. Qualcuno dice che derivi dal latino “Luxus” altri che sia semplicemente l’abbreviazione di Luxury Export US. Il primo modello debutta al Salone di Detroit del 1989 e si chiama LS, che vuol dire Luxury Sedan (berlina di lusso). Stilisticamente non è il trionfo del dionisiaco, anzi è quasi un plagio di una tedesca, ma tecnicamente è un passo avanti a tutti. Il V8, 4 litri, da 245 cv ha un funzionamento così liscio che sopra al cofano si può mettere una piramide di coppe di champagne, il cambio è così dolce che il piombo di un muratore appeso al suo interno non si muove ad ogni passaggio di marcia.
Sono immagini suggerite dalla campagna pubblicitaria e sotto ci sono tante chicche nascoste come i contatti placcati d’oro per gli airbag o le lamiere con intercapedine in resina di nylon per isolare l’abitacolo in un silenzio quasi irreale. E poi ci sono livelli di servizio che non hanno pari: per il tagliando la vettura viene presa e riportata lavata e con il pieno, per l’assistenza c’è il flying doctor pronto a paracadutarsi ovunque ve ne sia bisogno. Le vendite hanno un decollo verticale, arrivano altri modelli in gamma e nel 1993 Lexus si affaccia in Italia attraverso un importatore parallelo, ma già nel 1997 rientra sotto l’ala della casa madre. Nel 1998 Lexus diventa negli Usa il marchio premium numero 1, nel 1999 la IS è il primo modello “europeo” mentre nel 2004 arriva la RX400h, la prima ibrida, nel 2005 il marchio diventa globale e nel 2009 è il turno della LFA, una supersportiva prodotta in 500 esemplari con motore V10, 4.8, da 560 cv. Oggi la gamma prevede 11 modelli, 8 dei quali in Italia dove arrivano solo le versioni ibride, una scelta di campo chiara per distinguersi dalla concorrenza attraverso la tecnologia che più di tutte rappresenta il Gruppo e ha cambiato il mondo dell’auto negli ultimi 20 anni. Prossimo atto sarà la UX, che nel 2018 risponderà ad un’altra domanda: quella del mercato verso i crossover compatti.
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