La Dakar ha deciso, ancora una volta ha scelto gli attuali fenomeni. Il suo re è il “principe del deserto”. Alle spalle, in grandissimo spolvero, c’è il sovrano di tutti i rally. Sarà cinica e dura ma, guarda caso, sa essere anche fedele. È la stessa selezione fatta l’anno scorso: primo Nasser Al-Attiyah, secondo Sébastien Loeb. Si può dire quello che si vuole, ma è difficile trovare qualcuno che possa non essere d’accordo: dal punto di vista umano, che dovrebbe premiare una maratona tanto affascinante, sono decisamente loro i piloti migliori. Le ultime due edizioni portate a termine senza sbagliare quasi nulla, oltre 15 mila chilometri dei deserti più insidiosi del globo volando da una duna e all’altra portando sempre a casa la pelle. Chapeau, nei confronti di entrambi bisogna togliersi il capello. Molto più complessa l’analisi dei mezzi meccanici. Per carità, chi trionfa ha sempre ragione. Le corse sono fatte per questo.
Ma ci sono stati incidenti che si sono un po’ accaniti contro un team che, nel complesso, non è riuscito ad esprimersi pur disponendo, a detta di molti, della tecnologia e organizzazione migliori. L’Audi di Ingolstadt lo scorso anno ha deciso di affrontare l’avventura, impegnandosi nella maratona mettendo in campo la mobilità del futuro. Un modo unico per dimostrare al mondo che questi contenuti sono già attualmente superiori rispetto allo schema “termico”. Non solo dal punto di vista ecologico e prestazionale, ma anche da quello della robustezza e dell’affidabilità. La sfida è fallita? Niente affatto. La fortuna, però, si può dire senza timore di essere smentiti, non è mai stata dalla sua parte. A prescindere dalle performance sui tratti più difficili che sono state da subito all’altezza dei migliori, anche la raffinata parte meccanica ed elettronica si è dimostrata impeccabile, uscendo intatta da tutte le battaglie.
A fare la differenza sono stati gli errori dei piloti e la parte più tradizionale delle tre astronavi RS Q e-tron E2, cioè i pneumatici e le sospensioni. Probabilmente dovuto al fatto di dover affrontare ad andatura più sostenuta i passaggi più impervi. Ciò è richiesto da un’aerodinamica di gran lunga superiore e una distribuzione dei pesi perfetta con un baricentro basso grazie alle batterie ed i motori elettrici disposti sul fondo delle vettura, sdraiati come dei felini a caccia. Nelle competizioni moderne, dove è possibile tenere sotto controllo da parte della FIA numerosi parametri, è stato introdotto da qualche tempo il “balance of performance” che cerca di mettere i contendenti tutti sullo stesso piano. Una filosofia che sfiora anche la massima espressione del motorsport, la Formula 1.
Per evitare fughe in avanti dei più muscolosi è stato dato a tutti un tetto massimo di budget sul quale contare e i meglio piazzati in campionato sono penalizzati nello sviluppo della monoposto successiva per consentire ai perdenti di recuperare. Un “BoP” indispensabile nei rally-raid per mettere a confronto la tecnologia del futuro, fatta di elettroni ed energia pulita con la trazione elettrica che è tutto un altro mondo, con quella attuale ancora usata da quasi tutti i concorrenti. Ebbene, serpeggia l’impressione che, per il timore di dover frenare il domani di fronte al passato, non essendo paragonabile nessuna cilindrata perché i motori a batterie non hanno i cilindri con cui stabilire la cubatura, si è intervenuti su altri parametri. Finendo per penalizzare, per carità del tutto involontariamente, le incolpevoli Audi.
Gli ingegneri di Ingolstadt, coraggiosi come sono, hanno accettato il confronto ma questo, in una corsa che non perdona come la Dakar, si è rilevato un’arma a doppio taglio. Per bilanciare le prestazioni superiori dei gioielli elettrici e della loro avanzata concezione, si è intervenuti sul peso e sulla potenza, due parametri antichi, ma tuttora fondamentali, per le corse automobilistiche. Le Audi hanno avuto più peso e meno potenza e, nonostante tutto, erano in grado di competere per la loro tecnologia innovativa.
Il tempo sul chilometro in gara era confrontabile, ma questo facendo salire di molto i rischi perché la auto erano capaci di andare più forti nei tratti in cui l’esperienza di un “dakariano” consigliava di alzare il piede. L’atteggiamento e le dichiarazioni del furbo Nasser parlano più di mille analisi. «Hanno dato più cavalli all’auto migliore, così vogliono uccidere la gara», ha fatto finta di sbottare il Principe quando, in piena competizione, è stato deciso di dare un filo di potenza in più ai bavaresi. Qualche giorno dopo ha aggiunto: «Guardate le Audi, hanno un’accelerazione impressionante e sulle dune sembrano danzare...». Ma non è bastato.