O di cui non esiste nemmeno un progetto definito, come per esempio quello della flat tax. Al contrario, ne trascura quasi completamente altri, ben più rilevanti ma che per qualche ragione sembrano assenti.
Per esempio, il futuro dell’Iva, che tutti dicono di voler evitare ma confermata su ogni documento ufficiale (e, a essere sinceri, anche a ogni dichiarazione del ministro Tria). Ancora più clamoroso, il tema del sviluppo dell’industria italiana, a partire da quella automobilistica. Troppo impegnati a contare i propri voti o a leccare le proprie ferite, sembra che nessuno a Roma nell’ultima settimana si sia reso conto di cosa sta per succedere tra Parigi e Torino, sull’asse dell’operazione che darà luogo al colosso formato da Fca e da Renault. Il vicepremier Di Maio, ministro competente in materia, e largamente confermato peraltro dai suoi elettori quale guida del Movimento, dovrebbe occuparsene al più presto, per evitare che altri governi, forse più affezionati ai propri campioni e più attenti allo sviluppo dell’industria nazionale, riescano a imporre condizioni più favorevoli. Peraltro, alcune recenti crisi industriali, come quella di Mercatone Uno, dovrebbero convincere chiunque abbia responsabilità in materia che non si può mai abbassare la guardia.
Perché sa da un lato i vantaggi, panche per il nostro paese, possono risultare evidenti, dall’altro non si possono ignorare alcuni rischi. Le prime indiscrezioni, riportate ieri proprio da Il Messaggero, prevedono già una sede operativa a Parigi e un congelamento per almeno quattro anni di opere di ristrutturazione. Varrebbe innanzitutto la pena di occuparsi subito dello sviluppo occupazionale del gruppo che nascerà, senza aspettare quattro anni per piangere sul latte versato qualora la fusione porti, com’è probabile, a una razionalizzazione della produzione. Leggere che nessuno stabilimento sarà chiuso per i primi quattro anni, equivale a leggere che in seguito queste chiusure ci saranno. Inoltre, un conto sono le valutazioni tecnico-legali sull’opportunità di operazioni di questo tipo, che darebbero luogo al terzo produttore mondiale per auto prodotte. Un altro sono invece la valutazioni politiche, che spettano esclusivamente ai singoli stati nazionali.
È ormai evidente che competere in un mondo sempre più globalizzato e interdipendente significa spesso aumentare le proprie dimensioni. E uno stato nazionale non può rimanere silente e - il che è perfino peggio - lasciare il pallino in mano ad altri. Soprattutto quando questi altri sono già numerosi ed agguerriti: la Francia è ovviamente in prima fila, e il paese vanta una certa esperienza nella tutela delle proprie aziende; ma anche la Germania osserva con grande attenzione, visto gli interessi di Volkswagen in materia.
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