Paolo Balduzzi
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Politica industriale/L’assordante silenzio del governo su Fiat-Chrysler

Politica industriale/L assordante silenzio del governo su Fiat-Chrysler
di Paolo Balduzzi
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Martedì 4 Giugno 2019, 00:13 - Ultimo aggiornamento: 6 Giugno, 15:09
Le elezioni europee avrebbero dovuto chiarire diversi punti all’interno della maggioranza. Al contrario, sembrano avere portato un caos irrisolvibile. Il dibattito tra Lega e Movimento 5 Stelle si è così incredibilmente incartato su chi debba dettare l’agenda prossima ventura e su quali ministri possano restare al loro posto e quali invece andranno cambiati. Il governo, insomma, trascorre molto tempo e dedica energie a discutere di temi che ai cittadini non interessano minimamente (altro che cambiamento!).

O di cui non esiste nemmeno un progetto definito, come per esempio quello della flat tax. Al contrario, ne trascura quasi completamente altri, ben più rilevanti ma che per qualche ragione sembrano assenti. Questi “dossier dimenticati” - dal governo ma non certo dagli addetti ai lavori - diventano ogni giorno sempre più numerosi. E non si capisce se questa dimenticanza sia sempre figlia di una convenienza politica, grave ma perlomeno deliberata, o sia invece figlia di una incapacità di vedere, interpretare e gestire la situazione stessa. Tra i dossier del primo tipo si può considerare di sicuro il federalismo differenziato, un tema caldissimo che però rischia di spaccare o il paese o il governo; e anche le grandi infrastrutture, che al contrario il paese dovrebbero unirlo e rinforzarlo ma restano sotterrate da pesanti e apparentemente irrevocabili veti in crociati. Il sospetto è però che ve ne siano altri che appartengono ai dossier del secondo tipo, questioni che incredibilmente il governo non vede o non sa come affrontare.

Per esempio, il futuro dell’Iva, che tutti dicono di voler evitare ma confermata su ogni documento ufficiale (e, a essere sinceri, anche a ogni dichiarazione del ministro Tria). Ancora più clamoroso, il tema del sviluppo dell’industria italiana, a partire da quella automobilistica. Troppo impegnati a contare i propri voti o a leccare le proprie ferite, sembra che nessuno a Roma nell’ultima settimana si sia reso conto di cosa sta per succedere tra Parigi e Torino, sull’asse dell’operazione che darà luogo al colosso formato da Fca e da Renault. Il vicepremier Di Maio, ministro competente in materia, e largamente confermato peraltro dai suoi elettori quale guida del Movimento, dovrebbe occuparsene al più presto, per evitare che altri governi, forse più affezionati ai propri campioni e più attenti allo sviluppo dell’industria nazionale, riescano a imporre condizioni più favorevoli. Peraltro, alcune recenti crisi industriali, come quella di Mercatone Uno, dovrebbero convincere chiunque abbia responsabilità in materia che non si può mai abbassare la guardia.

Perché sa da un lato i vantaggi, panche per il nostro paese, possono risultare evidenti, dall’altro non si possono ignorare alcuni rischi. Le prime indiscrezioni, riportate ieri proprio da Il Messaggero, prevedono già una sede operativa a Parigi e un congelamento per almeno quattro anni di opere di ristrutturazione. Varrebbe innanzitutto la pena di occuparsi subito dello sviluppo occupazionale del gruppo che nascerà, senza aspettare quattro anni per piangere sul latte versato qualora la fusione porti, com’è probabile, a una razionalizzazione della produzione. Leggere che nessuno stabilimento sarà chiuso per i primi quattro anni, equivale a leggere che in seguito queste chiusure ci saranno. Inoltre, un conto sono le valutazioni tecnico-legali sull’opportunità di operazioni di questo tipo, che darebbero luogo al terzo produttore mondiale per auto prodotte. Un altro sono invece la valutazioni politiche, che spettano esclusivamente ai singoli stati nazionali.

È ormai evidente che competere in un mondo sempre più globalizzato e interdipendente significa spesso aumentare le proprie dimensioni. E uno stato nazionale non può rimanere silente e - il che è perfino peggio - lasciare il pallino in mano ad altri. Soprattutto quando questi altri sono già numerosi ed agguerriti: la Francia è ovviamente in prima fila, e il paese vanta una certa esperienza nella tutela delle proprie aziende; ma anche la Germania osserva con grande attenzione, visto gli interessi di Volkswagen in materia.


E l’Italia? Le conseguenze per l’industria nazionale sembrano numerose. Nella migliore delle ipotesi, si tratterà di lottare per ottenere le migliori allocazioni di capitale e investimenti sugli stabilimenti italiani del gruppo; nella peggiore, bisognerà evitare che eventuali ristrutturazioni portino al ridimensionamento, se non addirittura alla chiusura, di linea produttive sul nostro territorio. Non si potrà far certo torto all’Europa o agli altri Stati nazionali se le conseguenze negative saranno maggiori di quelle positive - o anche solo semplicemente se l’Italia non si impegnerà a ottenere il massimo possibile. Gli appassionati dello sport nazionale preferito, vale a dire quello di cercare il colpevole all’estero, avranno di che divertirsi nei prossimi anni. Meno i cittadini, i lavoratori e i contribuenti sempre più delusi. Guidare o indirizzare i processi invece di subirli richiede una visione strategica che va al di là delle scadenze elettorali e di legislatura, nonché delle appartenenze politiche. 
Aspettiamo fiduciosi la fine di questa impasse e l’uscita da questa crisi, in un modo o nell’altro: e che il governo cominci finalmente a occuparsi dei i problemi reali del proprio paese.
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