Settore auto, in Francia una cura da cavallo: il progetto Macron ai raggi X

Settore auto, in Francia una cura da cavallo: il progetto Macron ai raggi X

di Giorgio Ursicino
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Emmanuel Macron, con quel pizzico di grandeur che ai francesi non scarseggia mai, deve essersi riletto una delle celebri battaglie di Napoleone: solo con gli obiettivi ambiziosi si riesce a cavalcare la tigre.

Si riesce a restare sulla cresta dell'onda senza accontentarsi di vivacchiare. Ancor più che in Italia, l'auto è fondamentale per le sorti del paese. Così ha deciso di intervenire con forza consultandosi prima con l'industria nazionale e formulando un piano che ha una visione a lungo termine: è importante preoccuparsi delle difficoltà presenti, ma ancor di più preparare le basi per costruire il futuro. Di esempi in casa nostra ne avremmo molti. Dall'industria siderurgica a quella chimica, fino ai trasporti: il paese più turistico del mondo che era anche nel G5 è riuscito a far fallire più volte la compagnia aerea sempre sul punto di scomparire. A pensarci un po', è proprio un bel record.

Ma torniamo a Macron: ha messo sul tavolo la non trascurabile cifra di oltre otto miliardi per dare un mano all'emergenza, ma soprattutto ha rafforzato le fondamenta della mobilità ecologica, il campo dove tutti dovremo giocare la partita nel secolo che verrà. E dove, esserci o non esserci, farà una grande differenza. Si sarà protagonisti o comparse. Trascuriamo gli interventi tutt'altro che irrilevanti per uscire dalla palude della pandemia: ecobonus rafforzati per le vetture con la spina, incentivi per tutte le vetture in stock che in Francia, più o meno come da noi, sono circa mezzo milione e che, dopo aver prosciugato la liquidità, rischiano di soffocare la rete di distribuzione.

Fin qui, quasi un gioco. Un atto dovuto. Poi ha gettato nella mischia interventi che il nostro comparto si vergogna persino di chiedere visto che vengono negate cose molto più banali. Così nessuno pensa che siano indispensabili. Non domani, ma oggi. La Francia ha preso sulle spalle l'auto elettrica, si è preoccupata sia di farla viaggiare, sia di produrre la batterie che sarà la nuova frontiera tecnologica del domani (costano il 35% di tutta l'auto) e consentiranno di fare la differenza in termini di peso, prezzo e autonomia.

Nella avanzata Europa attualmente non c'è questa tecnologia, dobbiamo rivolgerci altrove. Solo quattro paesi al mondo producono in grande quantità celle per le batterie: Stati Uniti, Giappone, Corea e, soprattutto, Cina. Pechino ha capito prima di tutti che l'auto del passato si basava sul motore a scoppio, quella del futuro sulle batterie. L'unica che ha la forza di rimediare a questa distrazione è la Germania, con molti muscoli sia tecnici che economici. Ora l'asse Berlino-Parigi si estende anche a questo polo, alle batterie dell'auto.

Parigi ha spinto e facilitato la nascita di una joint venture fra la Psa e la Total (due colossi con la presenza dello Stato dentro) alle quali, proprio l'altro ieri, ha annunciato che si unirà l'altra storica partecipata statale Renault. Ma come, la Regie non è in crisi e «rischia di scomparire»? A quanto pare, i soldi se servono si trovano. Altra mossa da brividi d'Oltralpe è nel settore delle colonnine di ricarica. C'era un piano del governo per realizzarne 100 mila entro il 2022, lo ha anticipato al prossimo anno. Da noi non è accaduto nulla di tutto questo, non c'è mai stato un vero piano statale.

Le poche colonnine presenti sono soprattutto merito dell'ostinazione del presidente dall'Enel Starace. Ma come si fa andare con l'auto elettrica senza la possibilità di ricaricarla? Il partito principale azionista del governo vuol togliere la concessione alle autostrade e non si è preoccupato che sulle nostre principali arterie di scorrimento non ci siano punti di ricarica? Eppure sono grandi fautori dell'auto a batterie. A chiacchiere. Sembra una favola, come quella della lotta al diesel nuovo di fabbrica che sicuramente non inquina.

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Giovedì 28 Maggio 2020 - Ultimo aggiornamento: 11:31 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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