La Porsche 919 Hybrid

Porsche, tris nel mirino. Il brand che ha dominato più volte a Le Mans punta al 3° trionfo di fila

di Achille Teti
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LE MANS - Alle ore 15 di sabato 17 giugno la macchina da battere sarà la Porsche 919 Hybrid, per almeno tre buone ragioni: perché ha dominato la 24 ore di Le Mans e il WEC nelle ultime due stagioni e soprattutto perché si chiama Porsche e perché con 18 vittorie (7 delle quali di fila), detiene il record assoluto sul circuito di Le Sarthe. Un’egemonia cominciata nel 1970 dopo che la Ford GT40 aveva interrotto bruscamente il dominio delle Ferrari negli anni ’50 e ’60 con un filotto di ben 4 trionfi tra il 1966 e il 1969.
 

 

Furono il tedesco Hans Herrmann e il britannico Richard Attwood a portare la Cavallina di Stoccarda per la prima volta sul podio più alto a bordo della 917K (Kurzheck, ovvero coda corta in tedesco) numero 23 spinta da un motore boxer 12 cilindri 4,5 litri da oltre 500 cavalli precedendo altre due sorelle: la 917L (Langheck, coda lunga) e la 908/2L con motore 8 cilindri da 3 litri con la quale lo stesso Herrmann – in coppia però con il francese Gérard Larrousse – l’anno prima era arrivato secondo per un soffio dalla coppia formata dal britannico Jackie Oliver e dal belga Jackie Ickx che a Le Mans avrebbe vinto altre 5 volte, 4 delle quali proprio con la Porsche.
Quella fu l’ultima edizione con la partenza classica, con i piloti che dovevano correre verso le auto parcheggiate a lisca di pesce dall’altra parte della pista. E fu proprio Ickx a innescare questo cambiamento.

L’asso belga infatti contestò alla vigilia questa procedura che non consentiva di allacciare correttamente le cinture di sicurezza. In realtà, i piloti evitavano di farlo per guadagnare tempo aspettando la prima sosta ai box, ma al primo giro l’inglese John Woolfe perse la vita alla Maison Blanche, probabilmente proprio perché non aveva allacciato le cinture. Ickx invece passeggiò, si prese tutto il tempo per ancorarsi al sedile e alla fine vinse per 120 metri dando alla Ford il poker e rimandando la vittoria della Porsche. Ma l’anno dopo il trionfo della casa di Zuffenhausen fu schiacciante e, oltre a conquistare l’intero podio, portò al traguardo altre due macchine tra le 7 arrivate sulle 58 partite.

Storie di altri tempi delle quali tuttavia le Porsche di oggi, oltre all’aura di santità automobilistica, portano un segno: la collocazione a sinistra del blocchetto di accensione, per permettere ai piloti di avviare più velocemente la vettura entrandovi di corsa. La 919 Hybrid è l’erede di questa storia e per continuarla a scrivere i tecnici tedeschi hanno lavorato affinando il prototipo che, dopo un 2014 di apprendistato, ha lasciato agli avversari solo le briciole anche se l’anno scorso la vittoria in terra di Loira è arrivata solo all’ultimo giro e per una clamorosa defaillance degli avversari. L’affidabilità dunque ha premiato, ma sarà ancora più importante quest’anno contro le tre agguerritissime Toyota.

La scocca è la stessa, ma l’aerodinamica appare notevolmente cambiata soprattutto per i parafanghi, più alti e ampi, le fiancate e le prese d’aria. Il team, composto da 260 persone, lavora a Weissach, a pochi metri dal reparto di ricerca e sviluppo e dalla pista dove la Porsche prova nella massima segretezza sia le vetture di serie sia quelle da corsa, attuando uno scambio tecnologico che ha già portato frutti su strada, con le Panamera e Cayenne e-Hybrid e anche con l’ultrasportiva 918 Spyder, anche lei ibrida plug-in. E nel 2020 il prossimo frutto sarà la coupè 4 porte elettrica derivata dal concept Mission E che è spinta da due motori identici a quelli della 919 e che funzionano a 800 Volt.

Ma ci sono altri punti di contatto tra queste competizioni e la produzione di serie: il nuovo 4 cilindri boxer 2 litri turbo delle 718 ha la stessa cilindrata e le stesse misure caratteristiche di quello della 919 che però ha le bancate a 90 gradi. Il V4 ad iniezione diretta da circa 500 cv raggiunge i 9.000 giri/min e ha il turbocompressore provvisto di turbina a geometria variabile, che gira a 120.000 giri/min, e di uno dei due dispostivi di recupero dell’energia concessi dal regolamento. L’altro è il motogeneratore da 294 kW collegato alle ruote anteriori che in frenata recupera l’energia cinetica e in accelerazione, se il pilota lo richiede, trasforma la 919 in una trazione integrale da 900 cv. La batteria è agli ioni di litio con celle della A123 System e il serbatoio, come prescritto per le auto che scelgono la classe energetica di 8MJ, è da 62,3 litri. La 919 finora ha dovuto inseguire, ma la sua efficacia è tutta da verificare perché ha iniziato la stagione utilizzando una sola delle configurazioni aerodinamiche permesse dal regolamento, quella ad alta velocità che l’ha penalizzata a Silverstone e invece le ha fruttato la pole position – ma non il miglior tempo in assoluto – a Spa-Francorchamps, il circuito che più di tutti assomiglia a Le Mans.

La configurazione a carico elevato sarà disponibile solo dalla gara successiva, la 6 Ore del Nürburgring. La squadra è capitana da Andreas Seidl con la supervisione di Fritz Enzinger, vice presidente responsabile per il progetto LMP1 e membro del consiglio di amministrazione. Rivisti gli equipaggi. La vettura numero 1 sarà affidata allo svizzero Neel Jani, unico superstite dell’equipaggio vittorioso lo scorso anno e che sarà affiancato dal belga-tedesco André Lotterer, vincitore in terra di Loira per tre volte con l’Audi (2011, 2012 e 2014), e dal britannico Nicholas Tandy che vinse la Le Mans nel 2015, insieme a Nico Hulkenberg e al neozelandese Earl Bamber. Quest’ultimo invece guiderà la numero 2 insieme a Timo Bernhard (vincitore nel 2010 con l’Audi) e al connazionale Brendon Hartley, unico del sestetto a non aver mai alzato la coppa con il 24 in cima.
 

 

 

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Venerdì 16 Giugno 2017 - Ultimo aggiornamento: 18:51 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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