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MILLERUOTE
di Giorgio Ursicino

Primati da battere, l'amore per la cucina
tra il regno animale e il regno dei fornelli

Non era facile immergersi di nuovo nel pianeta dove da tempo (cinematografico) uomini e scimmie cercano di convivere, stabilendo inevitabilmente rapporti conflittuali e di dominanza della propria specie. La trilogia prequel e reboot, iniziata nel 2011 con la regia di Rupert Wyatt, seguita negli episodi successivi diretti da Matt Reeves, ha visto al centro della narrazione la figura iconica di Cesare, uno scimpanzé geneticamente modificato, che ha tracciato una strada ecumenica per la sopravvivenza di tutti sul pianeta. Basata principalmente sulla teoria evolutiva (lo è anche questa nuova ripresa, che darà vita possibilmente a un’ulteriore trilogia), la lunga serie di film che l’hanno costituita si è fermata con la morte di Cesare, dopo infinite battaglie anche tra lo stesso popolo di primati. Qui si torna adesso alle origini del film iniziale (quello del 1968 con Charlton Heston), a molti anni di distanza dalla morte appunto di Cesare. Le scimmie sono padrone del pianeta, la razza umana praticamente scomparsa, o asserragliata e nascosta, nonché priva di ogni linguaggio. La vita di Noa (Owen Teague) ruota attorno a un gruppo di primati che privilegiano il rispetto per la natura, in una visione idilliaca di potenziale pace, in uno scenario che in apertura di film sembra echeggiare fondali avatariani. Ma le scimmie, come già sappiamo, ovviamente non sono molto diverse dagli umani. E quindi ecco la controfigura di Proximus, che invece tende a realizzare una società dove chi ha il potere costituisce anche la dominanza assoluta. In questo scontro tra primati, dove la colonia di Noa viene distrutta e i suoi abitanti schiavizzati da Proximus, spunta infine Mae (Freya Allan), un’umana che si dimostra ancora capace di parlare e che, non priva di tutta l’ambiguità della sua razza, assieme a Noa sfida Proximus, che vorrebbe aprire il bunker dove viene custodita tutta la conoscenza degli umani. Se la prima parte del film ora diretto da Wes Ball, fin qui conosciuto per la distopia di “Maze runner”, sembra perfino addormentare lo spettatore nell’incanto forestale e nelle scorribande dell’eterna lotta tra bene e male, “Il regno del pianeta delle scimmie” alza il valore dell’interesse all’arrivo della presenza umana e da tutto quello che effettivamente ripropone il percorso evolutivo, in questo caso anche degli umani che devono riprendere la parola e il controllo del pianeta, suggerendo inevitabilmente come l’intelligenza sia fonte anche maligna. L’impressione è che stiamo sempre, da quel lontano 1968, a girare attorno al solito argomento, dove stavolta manca anche la forza carismatica di un Cesare (almeno in questa prima parte), nonostante ormai la tecnologia ci comunichi stupore e il finale riesca a essere finalmente coinvolgente. Voto: 6.

LEZIONE DI CUCINA E AMORE - Una storia d’amore sussurrata tra le pentole e le teglie tra un rinomato chef e la sua compagna, donna infaticabile e al tempo stesso fragile. Tran Anh Hùng, franco-vietnamita si muove tra i fornelli con un film elegante, raffinato, tendente al calligrafico, che a tratti può sembrare una puntata di Gambero Rosso Channel, intervallata dai pochi momenti di intimità tra Juliette Binoche e Benoît Magimel, va da sé come al solito molto bravi. Un’esplosione continua di profumi e sapori, una lezione portentosa su cosa significhi cucinare, come insegna bene un monologo di chef Dodin, quando spiega cosa succede dentro la nostra bocca quando mangiamo. “Il gusto delle cose” richiede un’attenzione da ricettario e soprattutto una digestione lenta.  Miglior regia a Cannes. Voto: 7.

UNGHERIA ALL'ESAME - Abel, un giovane ungherese, fallisce la maturità rimanendo in silenzio. Ha una cotta per la sua migliore amica, che però gli preferisce il professore di storia, che tuttavia ha già famiglia e rifiuta ogni approccio. Il padre di Abel è un conservatore orbaniano e la bocciatura del ragazzo diventa un caso giornalistico, per via della coccarda nazionalista con la quale si è presentato all’esame, secondo alcuni fondamentale per l’esito negativo. Dallo scandalo mediatico escono tutti a pezzi. Vincitore l’anno scorso a Venezia di “Orizzonti”, “Una spiegazione per tutto” è una lucida, chirurgica analisi delle contraddizioni di un Paese, narrata con uno stile maturo e solido, che conferma Gábor Reisz tra gli emergenti registi magiari più interessanti, mettendo sotto esame la stessa Ungheria. Voto: 7.

AMORE E ODIO - Blanche incontra dopo diversi anni Grégoire. Nasce una vera e propria passione. La coppia funziona, si sposa, arrivano dei figli, ma ben presto Blanche si accorge che l’uomo si sta trasformando in pericoloso e possessivo. Così quando Blanche cede a un incontro, i sospetti di Grégoire esplodono nel modo peggiore. Scritto dalla stessa regista assieme a Audrey Diwan, dal romanzo di Éric Reinhardt. “Il coraggio di Blanche” è un dramma familiare sulla violenza verso le donne. Se non fosse per un montaggio non lineare, il film pagherebbe una stanca riflessione sul tema, un’approssimazione dei personaggi e una storia piuttosto pasticciata. Con Virginie Efira e Melvil Poupaud.  Voto: 5.

 

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Venerdì 10 Maggio 2024 - Ultimo aggiornamento: 22:42 | © RIPRODUZIONE RISERVATA