L’energia pulita, proveniente da fonti rinnovabili, offre ogni giorno sorprese. Invenzioni per recuperare “forza” gratuita che per tanto tempo abbiamo avuto sotto il naso senza dargli peso o facendo addirittura finta di non accorgersene. Ci avete mai pensato che milioni di veicoli lanciati in velocità, quando rallentano, dispongono di una quantità di energia cinetica da far paura? Se ci ingegniamo, parte di questa può essere trasformata in elettrica, immediatamente fruibile. Ci sono già i marchingegni per farlo. Le auto BEV e ibride una parte la recuperano da sole, ma si potrebbe fare lo stesso con i mezzi di vecchia generazione. Nel settore della mobilità la transizione ecologica non coinvolge solo i veicoli elettrici.
Quella dei mezzi di trasporto, di persone o cose, è una rivoluzione che sarebbe avvenuta in ogni caso. Anche se il problema del riscaldamento del pianeta non fosse esploso e l’improvvisa lotta alla CO2 avesse lasciato più tempo alle fonti nel sottosuolo. Petrolio e carbone in prima fila che, durante la combustione, emettono sostanze inquinanti e climalteranti. Il propulsore ad induzione, si sa, non è neanche paragonabile al vecchio termico utilizzato fintanto che non c’era modo di trasportare a bordo una quantità di energia pulita in grado di garantire un’autonomia adeguata. La facile disponibilità di idrocarburi ha fatto il resto, spingendo l’industria a non investire nella ricerca.
Quando è scattato l’allarme, il problema è stato velocemente risolto. Soprattutto con la discesa in campo della politica che ha messo a disposizione tanti fondi della comunità globale. Adesso apparati per immagazzinare energia rinnovabile sui veicoli ce ne sono diversi. Il dominante è quello a batterie, ma anche l’idrogeno potrebbe essere un valido “vettore” per muoversi senza inquinare. Quindi le vetture sarebbero diventate tutte elettriche anche senza l’allarme ambientale. Sono infatti enormemente più efficienti, in grado di recuperare energia, hanno prestazioni superiori, costi di esercizio più bassi e quasi non richiedono manutenzione. Una lotta impari con il vetusto motore a scoppio.
Detto questo proliferano ogni giorno inedite formule per estrarre energia senza costo che può non essere inserita in rete, ma utilizzata sul posto di produzione. Non parliamo solo di fonti naturali come il sole e il vento, ma anche di quelle provenienti da attività umane come il traffico veicolare. Nell’Unione Europea il trasporto su ruota è responsabile del 63% del consumo di potrolio e del 29% delle emissioni di CO2. Quindi il traffico è considerato una forte fonte di inquinamento e recuperare da esso una parte di energia verde è senz’altro un’operazione virtuosa. L’ultima invenzione è made in Italy ed è in fase di sperimentazione sulla rete autostradale italiana, in particolare quella della di Autostrade per l’Italia (Aspi). Una società del Gruppo, la Movyon, sta sperimentando un sistema che fa parte del progetto “Kinetic energy harvesting from vehicles” (KEHV).
Questa tecnologia è sviluppata dal centro di eccellenza per la ricerca e l’innovazione di Aspi e leader nello sviluppo e nell’integrazione di soluzioni avanzate di “Intelligent Transport Systems” e monitoraggio delle infrastrutture. Scendendo più in profondità emergono altri gioielli tricolori. Il cuore del sistema, che trasforma l’energia cinetica in elettrica, è un modulo italiano chiamato Lybra realizzato dalla start up “20energy”. Il recupero dell’energia cinetica dai veicoli deve essere fatto nella fase di decellerazione o di frenata, quindi in autostrada sarebbe ottimale la zona dei caselli o quella delle entrate nelle aree di servizio. E proprio in una di queste è stato avviato il progetto pilota.
Si tratta del tratto toscano della A1, nella stazione Arno Est. Dalle prime stime emerge che, con un unico modulo, il passaggio medio giornaliero di 9mila veicoli, con una massa media di 3,67 tonnellate ed una velocità di ingresso compresa tra 15 e 70 km/h, è potenzialmente in grado di produrre fino a 30.000 kWh all’anno (30 MWh/anno), in condizioni di traffico ordinario. In questo modo si possono risparmiare 11 tonnellate di CO2 l’anno, corrispondenti ad un condominio di 10 appartamenti, 40 persone. La vicina barriera di Firenze Ovest ha un consumo di elettricità di 60 MWh/anno, quindi sarebbero sufficienti due moduli per essere autosufficienti e non gravare sulla rete, azzerando praticamente i costi.
Ma nei caselli di Milano Nord e Milano Sud, dove transitano ogni giorno circa 8mila veicoli pesanti e 63mila leggeri, ognuna delle due stazioni potrebbe produrre 200 MWh, con un risparmio di 70 tonnellate di CO2 ogni 12 mesi. Questo sistema garantisce altri vantaggi rispetto al fotovoltaico già abbondantemente utilizzato sulle autostrade per rendersi autonome dal punto di vista energetico e poter rifornire con l’autofornitura anche parte dei veicoli elettrici. L’energia cinetica è infatti prevedibile con precisione, sia di giorno che di notte, con qualsiasi tipo di tempo. In questo modo non ci sarebbero “vuoti” e l’energia potrebbe essere consumata sul pesto senza metterla in rete o utilizzando costosi accumulatori.
Le pedane del sistema, inoltre, non prendono spazio (sono del tutto interrate) e non hanno bisogno della aree per i pannelli che, oltretutto, hanno bisogno di diverse autorizzazioni. I circa 10 metri quadrati necessari per una piattaforma KEHV forniscono l’energia equivalente di un impianto fotovoltaico con una superficie di 110 mq. Lybra è una pedana di dimensioni 300x360 cm disposta a livello del suolo nell’area di decellerazione dei veicoli. Non c’è alcun effetto dosso e la sensazione all’interno dei veicoli è quasi impercettibile. Per posizionare la pedana è necessario effettuare uno scavo non molto profondo per posizionare i moduli che trasformano la spinta delle vetture in transito in energia elettrica. La sperimentazione fa parte dei progetti sviluppati dal gruppo Aspi in tema di innovazione e sostenibilità. In base ai risultati ottenuti anche questo sistema potrà essere inserito all’interno del più ampio programma “Mercury Smart Sustainable Mobility”.
Un piano finalizzato alla creazione di un grande polo unitario e coordinato per l’innovazione tecnologica con il fine di garantire infrastrutture più sicure e partecipare da protagonisti alla rivoluzione che decarbonizzazione, digitalizzazione e nuovi servizi di trasporto stanno apportando a tutti i sistemi di mobilità. Il Programma coinvolge le diverse società controllate del Gruppo Autostrade per l’Italia e consentirà di ammodernare gli asset e di allungarne la vita utile, rendendo il traffico più fluido e aumentando la sicurezza dei viaggiatori. Attraverso queste innovazioni tecnologiche l’azienda italiana punta a massimizzare l’autoconsumo di energia elettrica da fonti rinnovabili, al fine di ridurre la “carbon footprint” e contestualmente aumentare la resilienza energetica dell’infrastruttura autostradale.