Un altro gran premio in Oriente. Un’altra alzataccia di domenica per seguire la F1 itinerante che balza da un continente all’altro spinta da un successo che più globale non si può. Dopo la puntata in Australia, quasi agli antipodi, il Circus è sbarcato a Suzuka, nella campagna del Sol Levante. Un circuito voluto personalmente da Soichiro, il mitico fondatore della Honda, che già ha il sapore di storia nonostante ospiti le monoposto solo dal 1987, quando Indianapolis e Monza erano già nella leggenda. Lungo quasi sei chilometri e con la configurazione ad “otto”, l’impianto nipponico è considerato fra i più tecnici e spettacolari, amato da tutti i piloti che gli preferiscono solo Spa nei loro personalissimi gradimenti. Per fare il sorpasso dell’anno tutti i driver sognano la curva dell’Eau Rouge-Raidillon in Belgio o la 130R in Giappone.
Detto questo, veniamo alla cronaca. I protagonisti sono già ai box dove questa notte si disputeranno le prime prove. I riflettori sono puntati sulla Ferrari ed, in particolare, su Carlos Sainz che, approfittando dell’incendio a bordo dell’astronave del cannibale, ha sbancato l’autunno di Melbourne. Una bella iniezione di fiducia sebbene la pista respinga il Cavallino da vent’anni. Lo spagnolo ha vinto con autorità, comandando la giostra dall’inizio alla fine, rifilando un distacco abissale all’altra Red Bull di Perez che, quando serve, ha sempre le polveri bagnate. Sarà un caso, ma gli unici due gran premi sfuggiti alla RB nelle ultime due stagioni sono finiti entrambi nel carniere del figlio d’arte di Madrid.
Un aspetto che farà riflettere bene Christian Horner se veramente i giorni del messicano a Milton Keynes volgono al tramonto. Lo scorso anno, dopo il trionfo a Singapore, le Rosse furono ridimensionate da un imbufalito superMax sul tracciato del Sol Levante con i gradini più bassi del podio occupati dalle due McLaren. Ma la SF-24 non è capricciosa come la precedente ed il maestro di cerimonia Frédéric Vasseur si è sbilanciato come di solito non fa: «La direzione è quella giusta, la vettura cresce in prestazioni ed è più facile sia da guidare che da sviluppare. Dobbiamo continuare a mettere pressione alla Red Bull, quando sono incalzati possono sbagliare. La concentrazione deve restare sul nostro materiale: i pneumatici vanno molto meglio, ma serve più coerenza fra un treno di gomme e l’altro».
Cova sotto la cenere la pace armata nello squadrone austriaco, un incubo più pericoloso degli avversari. Un “coup de théâtre” è atteso da un momento all’altro visto che i moschettieri non hanno affatto deposto l’ascia di guerra. Il team principal britannico nei mesi scorsi ha dovuto incassare un brutto assalto ma, essendo uscito dall’angolo, non sembra disposto a fare prigionieri. Ha tirato le fila per far scendere in campo l’azionista di maggioranza di tutta la Red Bull, il thailandese Chalerm Yoovidhya, che pare disposto a fare piazza pulita pur di lasciare al comando del team il manager che lo guida da oltre vent’anni.
La cordata austriaca che fa capo agli eredi di Dietrich Mateschitz, il mitico fondatore che aveva l’alone del capo assoluto e prima prendeva tutte le decisioni sportive e di marketing nonostante fosse in minoranza. Tradotto, la prima testa a rotolare sarebbe quella di Helmut Marko che ha già gridato aiuto, ma la rivoluzione potrebbe estendersi anche al quartier generale di Salisburgo. Con questa situazione nel paddock si è imbarcato per Tokyo anche Toto Wolff che doveva restare in Inghilterra a seguire gli sviluppi della deludente W15. Senza l’anziano “talent scout” Max è libero e Verstappen val bene un viaggio...