Il discorso sullo “stato dell’Unione” della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen apre uno spiraglio di cambiamento anche nel settore della mobilità, fortemente impegnato nella transizione energetica. È chiaro a tutti che, nel lungo termine, i veicoli dovranno essere tutti ad “emissioni zero”. Non solo al momento dell’utilizzo, ma durante tutto il ciclo produttivo, fino al completo riciclaggio, alimentando la virtuosa economia circolare. Nel breve e medio periodo, invece, il fronte non è affatto compatto e ogni giorno emergono nuove crepe. Alle base di tutto c’è il discusso divieto di vendere auto termiche dopo il 2035. Un acceleratore alla transizione che rischia di diventare un freno.
Forse è stato un errore introdurre il blocco perché hanno evitato questo percorso estremo le altre due aree geografiche rilevanti come in Nord America e l’Oriente. Entità geopolitiche che hanno però mosso pedine importanti per raggiungere l’obiettivo, non con l’obbligo, ma con i «vantaggi economici garantiti anche da vigorosi aiuti di Stato». In Europa il mercato dell’auto soffre, con evidenti ricadute su un comparto che aveva trovato il suo equilibrio nel tempo senza però brillare per innovazione ed appeal finanziario. La nuova mobilità, però, si può essere soddisfatti, viaggia ad una velocità superiore alla previsioni. I consumatori hanno percepito l’aria che tira e sono molto cauti negli acquisti e prendono molto in considerazione la mobilità elettrica anche se ancora non può essere per tutti.
La scintilla ecologica è stata un ottimo detonatore, sono arrivati nuovi “player” e nuovi investitori, puntando una valanga di miliardi con la speranza di lauti guadagni. I costruttori tradizionali, seppur sotto pressione per “competitor” che prima non c’erano, hanno colto l’occasione per uscire dall’angolo e sacrificare la produzione sull’altare dei margini. Dal punto di vista della mobilità sostenibile, non c’è dubbio, l’Europa va a due velocità. Questa volta il Sud della sfera, il fanalino di coda, è l’Italia. Un fenomeno non facilmente spiegabile visto che siamo stati per anni la locomotiva del comparto, con tanti clienti e pure appassionati. Da gennaio ad agosto in Italia la quota di mercato delle vetture “zero emission” non è riuscita a sfondare la barriera del 4%, tutte vetture a batterie (quasi 30 mila unità) perché di auto a “fuel cell” ad idrogeno ne sono state vendute solo 5.
A fine luglio, invece, in Europa (UE, Efta e UK) le immatricolazioni di auto elettriche hanno superato il milione e puntano a quota due entro dicembre. Le vettura zero emission hanno scavalcato le diesel, fino a qualche anno fa dominatrici incontrastate della scena. La “share” delle elettriche nel continente è al 15%, quasi cinque volte quella italiana. Nell’ultimo mese gli altri 4 paesi più grandi hanno accelerato ancora nella quota: 20% in Germania, 16,1% nel Regno Unito, 15,2% in Francia e 4,7% la Spagna. Con questa proiezione il nostro sta diventando un mercato “diverso”, mentre quello dell’auto è globale e noi non abbiamo più da tempo un costruttore solo nazionale.
Il piano strategico Stellantis “Dare Forward 2030” voluto da Carlos Tavares non precede più la produzione di vetture termiche nel vecchio continente dopo quella data. Se non ci adegueremo in fretta si rischia di andare a prendere la vetture a scoppio in paesi lontani e, magari, non avanzatissimi. È vero, la Cina è messa bene nel mercato delle batterie e controlla buona parte delle materie prime sensibili. Gli Stati Uniti hanno la Tesla, il vero leader del mercato pulito. Ma in Europa c’è la tradizione automotive, stiamo costruendo le gigafactoty (quasi niente nella Penisola) e arriveranno presto prodotti molto più accessibili. La partita è ancora aperta, non è affatto persa prima di combattere.