La Toyota Mirai

Idrogeno: liquido o gassato? L’elemento più presente in natura deve essere “prodotto” e maneggiato in modo complesso

di Nicola Desiderio
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Dopo, contro o accanto all’elettrico? L’idrogeno è tutto questo. Perché molti lo indicano come l’ultima frontiera dalla mobilità, altri come avversario dell’elettrico altri ancora come un compagno fedele, se non indispensabile, nel processo di decarbonizzazione dei trasporti e non solo. Di sicuro l’idrogeno ha caratteristiche di base innegabili: è l’elemento chimico più ricco in natura e ha il potenziale di tagliare del tutto il nemico numero uno dell’atmosfera: il carbonio. Oltre a questo, l’idrogeno può essere utilizzato in due modi diversi: come vettore energetico o come combustibile. Nel primo ne viene sfruttata l’energia chimica grazie alle cosiddette celle a combustibile o fuel cell: al loro interno l’idrogeno incontra l’ossigeno dell’aria e viene liberata una grande quantità di energia elettrica in modo controllato che può avere utilizzi stazionari o di mobilità.

L’unico prodotto di scarico è acqua in forma di vapore e la trazione è elettrica. Nel secondo si tratta invece di utilizzarlo all’interno di motori a pistoni, modificati o realizzati ad hoc. Le famigerate emissioni carboniche (CO2, CO e HC) sono praticamente nulle, minime quelle legate all’azoto (NOx) che compone l’aria al 78%. Molti non lo sanno, ma il primo motore a combustione interna fu proprio ad idrogeno. Lo realizzò e brevettò un certo François Isaac De Rivaz nel 1807 che costruì un enorme stantuffo (97 mm di diametro per 1,5 metri di corsa) dotato di candela rudimentale applicandolo 7 anni dopo ad un carro.

Le cronache raccontano che riuscì a trasportare il proprio peso (una tonnellata), 300 kg di sassi e legna e 4 uomini per 26 metri su un tratto in salita di 9 gradi alla velocità di 3 km/h. La fuel cell arriva oltre un secolo dopo e il primo vero utilizzo avviene nello spazio con le missioni Apollo e Gemini mentre è la General Motors ad applicarla nel 1966 sul furgone Chevrolet Electrovan. Allora le celle a combustibile occupavano tutto il vano di carico. Oggi ne basta una grande come una valigetta 24 Ore per produrre, ad un centesimo del costo, l’energia sufficiente a far muovere agilmente auto grandi come la Toyota Mirai, la Hyundai Nexo o la Honda Clarity oppure furgoni come Citroën Jumpy, Peugeot Expert e Opel Vivaro, ma anche, utilizzate in serie, per camion, bus, mezzi da lavoro e persino treni, navi e aerei grazie all’energia contenuta in un vettore che può essere ricavato dall’acqua, scindendo l’idrogeno dall’ossigeno attraverso un processo denominato elettrolisi.

Dunque l’idrogeno e le fuel cell sono teoricamente l’ideale: dall’acqua all’acqua, senza passare per il carbonio. Sembra un sogno, ma ci sono, oltre a quello dei costi, tre tipi di problemi. Il primo è la produzione che, per avere un senso, deve avvenire con gli elettrolizzatori ed energia (tanta) rinnovabile. Il secondo è lo stoccaggio e la distribuzione che vanno fatti a pressioni elevatissime e a temperature bassissime, vicine allo zero assoluto (-273,15 °C). Infine, i serbatoi che, per contenere idrogeno a 700 bar, devono avere forma cilindrica con tutto quello che ne consegue in termini di ingombro. Per questo l’idrogeno è indicato come la soluzione migliore per i settori hard to abate, ovvero quelli dove servirebbero batterie dal peso proibitivo e gli ingombri non sono un problema, ma che valgono da soli il 20% delle emissioni globali come i già citati treni, bus, mezzi da lavoro, trasporto pesante, aerei e navi.

Toyota, Hyundai hanno già iniziato a commercializzare le tecnologie applicate sulle loro automobili. Per le automobili dunque le fuel cell non sono teoricamente l’ideale, ma siccome la storia ritorna, si sta rifacendo strada l’idea di sfruttare l’idrogeno come combustibile. In tanti ci hanno provato come la Ford, Aston Martin e soprattutto la BMW che con il concept H2R nel 2004 batté nove record i velocità e affermava che il motore di Formula 1 del futuro sarebbe stato a idrogeno. A portare davvero l’idrogeno nelle corse oggi è la Toyota che lo ha applicato prima in forma gassosa e poi liquida su Yaris e Corolla per corse di durata in Giappone, adattando il suo celebre 3 cilindri 1.6 della GR Yaris.

La dimostrazione suprema di questa visione è la GR H2 Racing Concept, un prototipo da corsa pronto a correre a Le Mans dal 2026. Yamaha sta studiando un V8 ad idrogeno e sulle moto così come Honda, Kawasaki e Suzuki. A Torino c’è la Punch – ex General Motors Powertrain – che sta facendo altrettanto accanto allo sviluppo delle fuel cell e anche Mercedes vi sta lavorando per i propri camion. C’è anche chi, come Stellantis e Renault, immagina un ibrido plug-in con batteria ricaricabile e fuel cell, per aumentare l’autonomia e far marciare comunque in elettrico i propri mezzi, ma con il grande vantaggio dell’idrogeno: la rapidità di rifornimento che permette di fare il pieno in 3-5 minuti. Se solo ci fossero le stazioni... oggi in Italia ce ne sono due e dovrebbero essere 38 nel 2026. C’è chi indica l’idrogeno come un’utopia, chi un inutile diversivo o un ultimo disperato tentativo di far sopravvivere il passato. Promette vantaggi enormi, ma pone sfide altrettanto grandi.

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Venerdì 30 Giugno 2023 - Ultimo aggiornamento: 08-08-2023 21:14 | © RIPRODUZIONE RISERVATA