Ayrton Senna per sempre, 30 anni fa la morte a Imola: il tragico incidente al Tamburello

Ayrton Senna per sempre, 30 anni fa la morte a Imola: il tragico incidente al Tamburello

di Giorgio Ursicino
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Dopodomani di tre decenni fa ci lasciava il più talentuoso pilota automobilistico mai nato. Era il primo maggio del 1994. In un tiepido pomeriggio festivo, il destino beffardo spezzo la giovane vita di Ayrton Senna da Silva. Un ex ragazzo brasiliano, considerato eroe e chiamato “Magic”, che interpretava la guida come fosse un’arte istintiva. Un approccio quasi ascetico che il fenomeno considerava accompagnato da una lunga mano, in grado di dipingere imprese proibite ai comuni mortali. La Formula 1 da poco tempo era entrata in una nuova era. Quando si saliva in macchina non era più necessario salutare con intensità i propri cari. La Federazione aveva posto la sicurezza, soprattutto dei piloti, in cima alla lista delle priorità. E i costruttori, alla ricerca spasmodica di prestazioni per primeggiare, avevano introdotto la tecnologia dei materiali compositi, rigidi e leggeri, che offrivano “gratuitamente” una protezione niente affatto ricercata. Le monoposto che, spinte a folle velocità, prima si accartocciavano come grissini, diventarono in un lampo missili indeformabili e indistruttibili. Con le scocche in carbonio si voltò pagina e incidenti come quelli di Lauda e Villeneuve non accaddero più.

Ripartenza beffarda

Prima di quel tragico weekend di Imola, dove il sabato perse incredibilmente la vita anche il quasi esordiente austriaco Roland Ratzenberger, il fato avverso aveva perso le tracce del Circus. Per incontrare la vittima precedente al sudamericano si doveva tornare indietro a 12 anni. In Canada se ne andò, ancora prima di partire, il poco esperto e sfortunato Riccardo Paletti, anche lui appena alla seconda partenza nella massima formula. Dopo di Ayrton sono trascorsi vent’anni prima che lo spettro della morte tornasse in F1, con un trattore assassino che si piazzò sulla traiettoria allagata del giovane monegasco Jules Bianchi. In una ripartenza beffarda, la Williams di Magic tirò dritto al Tamburello, la piega più veloce del Campionato con all’esterno, vicinissimo, un tosto muro che impedisce di tuffarsi nel Santerno. Una curva segnata da spettacolari crash che disintegravano le vetture, ma che il carbonio aveva trasformato in uno spettacolo. Anche quella volta accadde qualcosa del genere. La monoposto di Senna, ad oltre 300 orari, tirò dritto (quasi sicuramente si ruppe il piantone dello sterzo modificato “artigianalmente” la notte prima della corsa) e il bolide impazzito picchiò contro le protezioni.

L’angolo fu molto ridotto e smorzò un filo l’enorme energia cinetica sprigionata. Il corpo di Ayrton era intatto. Forse nemmeno un graffio. Nel tremendo impatto, però, la ruota anteriore destra si staccò e, con uno dei suoi braccetti tranciati, andò a colpire il casco del pilota proprio ai margini della visiera. Il particolare si trasformò in un dardo assassino che, alle 14.17 di quella festa dei lavoratori, spezzò la vita cerebrale di quell’artista del rischio. Dietro di lui, l’ultimo che lo vide da vicino fu Michael Schumacher che, con la sua Benetton, stava insidiando Ayrton per strappargli la terza vittoria di fila di quell’inizio del ‘94. Trasportato in elicottero all’ospedale di Bologna, i medici decretarono che, anche il generoso cuore del paulista, si spense definitivamente alle 18.40. E l’anima di Ayrton fu prelevata dall’alto da quella mano invisibile che lui diceva che lo guidava. La seducente storia era iniziata 34 anni prima, il 21 marzo (l’inizio della primavera) a San Paolo del Brasile dove i benestanti Milton da Silva e Neide Johanna Senna ebbero il loro secondogenito che battezzarono come Ayrton. Allora nessuno poteva sapere che era nato il messia del motorsport. Tutti e quattro i nonni materni del rampollo erano di chiare origini italiane.

I baby fenomeni

Senna non faceva ancora parte di quelle generazioni di baby fenomeni costruiti a kart e simulatore, in grado di esordire in F1 ancora minorenni. Dopo aver vinto parecchio in patria, solo a 19 anni trasvolò in Europa, nella Penisola degli avi, per seguire la sua aspirazione. Sul finire dell’80 si trasferì nella patria delle corse di auto che era l’Inghilterra, insieme all’ex compagna di scuola Lilian De Vasconcelos, diventata sua moglie solo per otto mesi prima che si separassero. Ayrton ebbe molti flirt famosi, ma la sua esistenza era dedicata alle auto e alle corse. Soprattutto alla velocità. Senna non avrebbe mai potuto essere un primatista di precocità.

Dopo uno spettacolare percorso nelle formule minori monopolizzando diversi campionati, il latino-americano volante esordì in F1 soltanto nel 1984 al gran premio di casa, quattro giorni dopo aver festeggiato il ventiquattresimo compleanno. Alla sua età Vettel ed Hamilton erano già campioni del mondo e Alonso e Verstappen si apprestavano a diventarlo. Gli iridati di un’altra epoca furono Fittipaldi e Lauda agli albori degli anni Settanta, ma dovettero aspettare il quarto di secolo prima di poter brindare al titolo. Ayrton, in questa speciale classifica non è nemmeno fra i primi dieci, preceduto addirittura da Clark che si mise la prima corona in testa all’inizio degli anni Sessanta. Eppure Senna è considerato quasi da tutti il «talento più limpido, il driver più veloce, il predestinato dei predestinati». Lui si laureò campione a 28 anni suonati, appena ebbe una monoposto da vertice assoluto. Fino ad allora, solo fiammate folgoranti, appena le condizioni diventavano difficili da far emergere il pilota rispetto alla monoposto. La prima, indelebile, dimostrazione nel 1984 con l’artigianale Toleman-Hart. Nel salotto del Principe, nell’anno del suo esordio.

 

Determinazione e coraggio

Un tracciato cittadino dove, soprattutto all’epoca, serviva immensa determinazione e grande coraggio perché ancora si poteva trasformare la monoposto in un motoscafo finendo nelle acque del porto come fece Ascari meno di trent’anni prima. Quell’audace capolavoro sentenziò che i nobili saliscendi di Montecarlo erano il giardino di casa di Ayrton residente proprio nella città-stato. Alla sua sesta gara in F1, con una vettura considerata poco più di un cancello, il brasiliano girò quasi tre secondi più lento del suo futuro rivale Prost che guidava una spaziale McLaren-Porsche. In gara, nonostante fosse l’inizio di giugno, si scatenò il diluvio e Monaco divenne un pantano. Senna iniziò a navigare sei secondi più rapido del francese che era in testa e, proprio quando degustava l’imprevedibile sorpasso, la corrida inzuppata fu interrotta dal direttore di corsa, l’ex pilota Jacky Ickx soprannominato “il mago della pioggia”. Più che un risultato fu un segno.

A Montecarlo Ayrton è praticamente rimasto imbattuto, ha vinto sei volte, di cui cinque consecutive (dal 1989 al 1993). Sarebbero state sette se nel 1998, dopo aver umiliato tutti, rifilando un secondo e mezzo a Prost con un McLaren uguale alla sua e in gara aver staccato il più vicino di quasi un minuto, non avesse appiccicato a pochi giri dal traguardo il suo bolide all’imbocco del tunnel, solo per “distrazione”.

I patatrac di Suzuka

Dopo il primo titolo ai danni del compagno già bicampione, l’anno successivo il brasiliano subì l’onta della rivincita: a Suzuka, sulla pista di proprietà dei loro motoristi della Honda, Ayrton affiancò Alain all’interno dell’ultima chicane che tuttora è ricordata con i loro nomi, e fu il patatrac seguito da una montagna di polemiche.

L’anno successivo la vendetta-fredda proprio sullo stesso circuito con Prost però salito a bordo della Ferrari. Dopo il terzo iride nel ‘91, un biennio non troppo esaltante con i motori Honda e Ford non proprio all’altezza del V10 Renault che spingeva la Williams con le sospensioni attive progettata dal giovane mago Adrian Newey. Poi il passaggio al team di zio Frank bicampione del mondo in carica, proprio al posto del suo acerrimo rivale Prost. Ma il destino crudele si era accovacciato sotto al Tamburello.

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Lunedì 29 Aprile 2024 - Ultimo aggiornamento: 10:01 | © RIPRODUZIONE RISERVATA